I problemi quotidiani stanno diventando “malattie”?

Pubblicato da Redazione il
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Da: Reuters Information Health

NEW YORK, 12 Aprile 2002 - Secondo alcuni esperti i recenti avanzamenti medici e la conseguente invasione di farmaci intesi per una serie di malanni, minaccia di "medicalizzare" ogni condizione e ogni comportamento umano.

Inoltre, dicono, l'avvento degli screening genetici potrebbe alla fine significare che le persone apparentemente sane saranno etichettate "malate" decadi prima di una diagnosi reale.

Sull'edizione del 13 Aprile del British Medical Journal, dedicata al tema della "medicalizzazione", ricercatori internazionali guardano ai pro e ai contro dello screening dei geni connessi a malattie, della pubblicità di farmaci direttamente ai consumatori e di quello che qualcuno vede come il fenomeno dei nostri giorni: trasformare i problemi comuni - dalla calvizie all'inadeguata prestazione sessuale - in condizioni mediche che necessitano di essere curate.

Come parte dell'edizione speciale, il giornale ha fatto un sondaggio tra i lettori su quali fossero considerate come principali «non-malattie» attuali. Tra le più votate c'erano calvizie, lentiggini, cellulite, invidia del pene e violenza da strada. La più votata è stata la "maturità".

Alcuni la chiamano "divulgazione di malattie". In un articolo Ray Moynihan, un giornalista dell'Australian Financial Review, e co-autori descrivono quello che loro ritengono una "alleanza informale" tra le case farmaceutiche e alcuni dottori e associazioni di consumatori. Essi sostengono che le case farmaceutiche forniscono gli esperti medici mentre le associazioni di pazienti offrono le "vittime" per attestare il rigore di una data condizione e attirare attenzione verso una nuova cura "innovativa".

Gli autori inoltre indicano numerosi esempi - come la perdita dei capelli e l'eccessiva timidezza - di quali possono essere considerate condizioni umane normali che sono state tramutate in condizioni mediche per il fatto che ora c'è una pillola disponibile per curarle.

In un altro articolo Barbara Mintzes, dell'Università della British Columbia di Vancouver, Canada, sostiene che la pubblicità prescrivente farmaci ai consumatori - attualmente permessa solo negli USA e in Nuova Zelanda - sta aiutando a medicalizzre la «normale esperienza umana.»

«Nel mirino sono le persone relativamente in salute,» scrive, «a causa della necessità di un ritorno adeguato ai costi delle campagne pubblicitarie.»

Molti di questi dollari per la pubblicità, secondo Mintzes, sono spesi per farmaci costosi e relativamente nuovi intesi per un utilizzo a lungo termine in grandi gruppi di persone, come i medicinali per il colesterolo, l'impotenza e l'ansietà.

«E mentre gli studi dimostrano che questi farmaci funzionano, la loro pubblicità tende a colpire un audience più vasto di quanto l'evidenza possa supportare» ha detto la Mintzes in una intervista a Reuters Health.

Ha citato come esempio i farmaci che abbassano il colesterolo, dicendo che l'evidenza che essi riducano i rischi di mortalità cardiovascolare è "migliore" nei pazienti che hanno effettivamente la malattia. Tuttavia, fa notare la Mintzes, le pubblicità sono indirizzate ad una popolazione molto più ampia.

In replica all'articolo della Mintzes, funzionari alla Whitehouse Station, della casa farmaceutica Merck, nel New Jersey, sostengono che la pubblicità ai consumatori aiuta il pubblico a fare delle scelte informate sulla la loro salute e la loro cura.

Secondo Silvia Bonaccorso e Jeffrey Sturchio l'evidenza mostra che c'è una sotto-diagnosi di molte malattie importanti e dei fattori di rischio di malattie per le quali esistono delle cure. Tuttavia Mintzes sostiene che i pubblicitari e gli esperti della salute pubblica spesso hanno opinioni diverse su quali malesseri necessitino di una "aumentata consapevolezza".

Altri dicono che nel momento in cui la medicina ha fatto incursione nella pubblicità, essa si è anche pesantemente coinvolta nelle vite sessuali delle persone. Quando nel 1998 fu lanciato il farmaco per la disfunzione erettile e per l'impotenza, il sildenafile (Viagra) «divenne il farmaco medicinale più popolare di tutti i tempi a livello mondiale,» scrivono Graham Hart e Kaye Wellings.

«Mentre molti uomini con disfunzione erettile sono riconoscenti per la piccola pillola blu,» hanno aggiunto, «l'uso di un approccio al sesso "eccessivamente medico" minaccia di ignorare le relazioni dinamiche e altri fattori connessi al comportamento sessuale».

Gli esperti della salute pubblica inglese notano che recentemente sono emerse anche forme di chirurgia ginecologica indirizzate ad aumentare il piacere sessuale. Negli USA circa un terzo degli uomini, e ancor più donne, ora dicono di aver avuto disfunzioni sessuali «un segno,» dicono Hart e Wellings, «di una nuova ossessione della gratificazione sessuale e di sensazioni di inadeguatezza».

Hart, dell'Università di Glasgow, ha detto a Reuters Health che la sua preoccupazione è che il termine "disfunzione sessuale" viene usato per coprire una gamma di comportamenti o sensazioni che potrebbero essere naturali per alcune persone, come la libido minore di quanto lo sia di solito.

«Se le persone hanno una relazione affettuosa e felice nella quale, col passare del tempo, il sesso gioca una parte meno importante, ciò non dovrebbe essere visto come problematico o disfunzionale» ha detto.

Guardando un po' nel futuro, i ricercatori genetici inglesi dicono che i test genetici «potrebbero portare ad una nuova ondata» di medicalizzazione. Ad eccezione di un numero relativamente piccolo di condizioni mediche causate direttamente da un singolo gene difettoso, gli screening genetici non possono predire se una persona svilupperà o meno una malattia, fanno notare David Melzer dell'Università di Cambridge e Ron Zimmern del Strangeways Research Laboratory a Cambridge.

«Per malattie con alla base fattori multipli, incluso le malattie cardiovascolari e il cancro, lo screening di variazioni dei geni connessi alla malattia può dare alla gente solo informazioni sul loro rischio statistico», scrivono Melzer e Zimmern.

«I test genetici alla ricerca di segni che potrebbero non risultare in sintomi per mezzo secolo o più, potrebbero essere nuovi esempi di un processo di medicalizzazione prematura - appiccicando l'etichetta "malattia" prima che sia stato stabilito che la prevenzione o la cura è chiaramente benefica», argomentano.

Le tecnologie genetiche, scrivono gli autori, potrebbero essere un «beneficio importante per la società, ma la loro introduzione deve essere misurata ... e, più importante, basata sulle migliori evidenze».